È già stato definito il thriller dei record. Non solo per gli incassi da capogiro registrati negli Stati Uniti, dove è uscito a fine febbraio, ma anche per l’accoglienza entusiasta da parte di pubblico e critica. Get Out – Scappa, proiettato in anteprima al Bari International Film Festival, segna l’esordio dietro la macchina da presa dell’attore Jordan Peele.
Il debutto nelle sale italiane è previsto per il 18 maggio, avrà la stessa fortuna che ha avuto negli U.S.A?
Prodotto da Jason Blum, il nuovo Roger Corman, con 5 milioni di dollari, Get Out – Scappa è un grandissimo film di generi: horror, thriller, comedy. Un B-movie, da intendersi come black movie.
La trama
Lui e lei sono due giovani yuppie interracial, Chris (Daniel Kaluuya) è nero, Rose Armitage (Allison Williams) è bianca. Fidanzatisi dopo fugace conoscenza, vanno tosto alla prova del nove, recandosi alla magione della fanciulla per conoscerne la famiglia: il padre, cacciatore neocoloniale, la madre, sorta di parapsichiatra, il fratello, ansiogeno quanto Michael Pitt in Funny Games. A far da contorno, una domestica nera, occhi da aliena, movenze da alienata, e un giardiniere, nero anche lui, podista ostile e linguacciuto. Inquietudine in ogni dove, tensione duale, razziale e generazionale. Poi, di notte, accade il fattaccio: la padrona di casa, tutta occhioni e buone maniere, ipnotizza Chris con una tazzina e un cucchiaino. E dal mattino dopo, nulla è più come prima… Get Out è una covata malefica di trovate, così sistematiche, così efficaci da sembrare frutto di genio, oppure della fortuna del principiante. Jordan Peele è all’esordio da regista e sceneggiatore e butta dentro al film tutta la sua conoscenza enciclopedica del cinema, dai popcorn movies a quelli che definisce social thriller. Prende il bianco e il nero, e dalla semplice questione razziale ne fa una questione cromatica, di contrasto tra suppellettili, indumenti, fasi della giornata.
..predominio razziale
Impossibile non notare che si parla di razzismo e della sua persistenza nella società americana, anche tra gli insospettabili che hanno votato convinti Obama. In fondo esiste anche un razzismo al contrario che si esprime con lo stereotipo: i neri sono più forti, più potenti sessualmente, più bravi nello sport. E dunque, perché non sfruttarli per le loro qualità? E come si fa, dal momento che la schiavitù è stata abolita?
Il simbolismo di Peele
Peele lavora con i simboli: il cervo investito all’inizio, ad esempio, presagio di sventura e preda per antonomasia, introduce il gioco dei gatti con il topo. A questo proposito, è curioso che nel trailer internazionale ci sia un confronto molto orrorifico tra la testa di un cervo impagliato e lo stesso Chris, preda contro preda, ma questa scena è stata esclusa dal montaggio finale del film.
Attraverso i simboli, Peele scandaglia i rituali sociali: i modi patriarcali degli Armitage contrapposti ai modi da city life di Chris; l’ipnosi e la psicanalisi come moderne schiavitù; giochi quali bingo, badminton, bocce e lacrosse resi come se fosse Haneke per Funny Games.
Di più, Peele arriva a inventarsi una dimensione onirica tutta nuova, il “Sunken Place”, lo sprofondo della coscienza per le vittime, spettatori passivi del proprio body invasion, dell’horror che stanno vedendo, vivendo e subendo, consapevoli di quello che accade, ma incapaci di opporsi alle altrui intrusioni, incapaci di fare la cosa giusta.
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