Ancora da pochi giorni al cinema, fa emozionare e scalpitare i cuori dei fan e non del più noto scrittore inglese dell’epoca Elisabettiana.

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Tanna, Un “Romeo e Giulietta” un po’ rivisitato, al di là della sceneggiatura.

Due ragazzi, Dain e Wawa, appartenenti a tribù diverse e rivali dell’isola di Tanna, nell’arcipelago delle Vanuatu, si innamorano. Peccato mortale: la loro relazione viene contrastata da tutti in ogni modo possibile, finché la fuga resta l’unica ipotesi percorribile. Saranno costretti a scegliere tra i propri sentimenti e il bene della propria tribù.

Premio del pubblico alla Settimana della critica di Venezia 2016, giustamente candidato agli Oscar come miglior film straniero e ingiustamente ignorato. Arriva finalmente nelle sale una perla della cinematografia contemporanea.

Una tribù vergine

ll film nasce dalla passione dei documentaristi Martin Butler e Bentley Dean, che si sono trasferiti con le loro famiglie sul posto e hanno deciso di coinvolgere nelle riprese di questo grande capolavoro, gli abitanti della tribù Yakel. Protagonisti, con loro, luoghi incontaminati dove il cinema arriva per la prima volta e in punta di piedi.

La tribù ha approcciato al cinema in maniera del tutto vergine. Non avevano mai visto un film prima, hanno accettato di interpretarne uno. Non è dato sapere come siano riusciti i documentaristi a convincerli a costruire insieme una storia così affascinante.

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Si tratta di un singolare innesto tra dramma e antropologia. Se è vero che la storia dei tragici amanti ripropone nel Pacifico il dramma di Romeo e Giulietta, lo è anche che si tratta di una delle opere di Shakespeare purtroppo più attuali: da qualche parte, nel mondo, c’è ancora chi non può amarsi liberamente ma viene diviso da motivi politici, differenze religiose e faide famigliari.

Una situazione reale

La storia raccontata nel film trae origine da un fatto accaduto nella comunità nel 1987, con l’uccisione dei due giovani amanti coinvolti. Fu proprio quel caso a dar via all’abbandono di una consuetudine, causa di troppe vittime tra chi si rifiutava di sottomettersi alle regole della tribù.

Per vivere in un apparente paradiso c’è spesso un prezzo da pagare e a farne le spese sono spesso i più giovani e innocenti. Si tratta dunque di una situazione reale con cui i protagonisti possono identificarsi.

Con un canovaccio di sceneggiatura questi “attori”, che non avevano mai visto una cinepresa prima, recitano con incredibile naturalezza e questo film è per loro anche occasione di riflettere sulla propria storia, che non significa rinunciare alla propria identità ma riconoscere che la vita è sempre preferibile alla morte, l’amore al sacrificio e la pace alla guerra. Il microcosmo della tribù Yakel diventa dunque anche metafora di una condizione umana che non riesce a fare questo logico passaggio.

..semplicità e struggente bellezza

“Questo film – dicono alcuni spettatori – regala immagini di struggente bellezza e ci introduce esseri umani che non potrebbero essere più distanti della nostra cosiddetta civiltà ma che subito riconosciamo e ci diventano cari, con la loro naturale bellezza e lo sguardo intelligente e vivo. Un po’, soprattutto all’inizio, li si invidia anche, per la loro comunione assoluta con una natura incontaminata, la loro innocente nudità, la semplicità di una vita che accoglie i doni della natura rispettandola, e identifica il proprio spirito madre nel vulcano che sovrasta l’isola.”

Tanna restituisce con onestà e poesia allo spettatore la bellezza di un pianeta che stiamo lentamente distruggendo.

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